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Orazioni tre in salmodia metafisicale congiunte insieme - Canzone prima

Omnipotente Dio, benché del Fato
invittissima legge e lunga pruova
d'esser non sol mie' prieghi invano sparsi,
ma al contrario esauditi, mi rimuova
dal tuo cospetto, io pur torno ostinato,
tutti gli altri rimedi avendo scarsi.
Che s'altro Dio potesse pur trovarsi,
io certo per aiuto a quel n'andrei.
Né mi si potria dir mai ch'io fosse empio,
se da te, che mi scacci in tanto scempio,
a chi m'invita mi rivolgerei.
Deh, Signor, io vaneggio; aita, aita!
pria che del Senno il tempio
divenga di stoltizia una meschita.

Ben so che non si trovano parole
che muover possan te a benivolenza
di chi ab aeterno amar non destinasti;
ché 'l tuo consiglio non ha penitenza,
né può eloquenza di mondane scuole
piegarti a compassion, se decretasti
che 'l mio composto si disfaccia e guasti
fra miserie cotante ch'io patisco.
E se sa tutto 'l mondo il mio martoro,
il ciel, la terra e tutti i figli loro,
perché a te, che lo fai, l'istoria ordisco?
E s'ogni mutamento è qualche morte,
tu, Dio immortal, ch'io adoro,
come ti muterai a cangiar mia sorte?

Io pur ritorno a dimandar mercede,
dove il bisogno e 'l gran dolor mi caccia.
Ma non ho tal retorica né voce,
ch'a tanto tribunal poi si confaccia.
Né poca carità, né poca fede,
né la poca speranza è che mi nuoce.
E se, com'altri insegna, pena atroce,
che l'anima pulisca e renda degna
della tua grazia, si ritrova al mondo,
non han l'Alpe cristallo così mondo,
ch'alla mia puritade si convegna.
Cinquanta prigioni, sette tormenti
passai, e pur son nel fondo;
e dodici anni d'ingiurie e di stenti.

Stavamo tutti al buio. Altri sopiti
d'ignoranza nel sonno; e i sonatori
pagati raddolcîro il sonno infame.
Altri vegghianti rapivan gli onori,
la robba, il sangue, o si facean mariti
d'ogni sesso, e schernian le genti grame.
Io accesi un lume: ecco, qual d'api esciame,
scoverti, la fautrice tolta notte
sopra me a vendicar ladri e gelosi,
e que' le paghe, e i brutti sonnacchiosi
del bestial sonno le gioie interrotte:
le pecore co' lupi fûr d'accordo
contra i can valorosi;
poi restâr preda di lor ventre ingordo.

Deh! gran Pastor, il tuo can, la tua lampa,
da' lupi omai difende e da' ladroni.
Fa noto il tutto all'ignorante gregge;
ché se mia luce e voce, pur tuoi doni,
lasci spacciare per peccato in stampa,
più dannato fia il sole e la tua legge.
Ma, s'altra colpa è pur che mi corregge,
sai che non può volarsi senza penne
della tua grazia; né, senza, io le merto.
Pur sempr'ho l'occhio al tuo splendor aperto;
che fallo è il mio, se dentro egli non venne?
Ma sciogli Bocca, e fai tuo messaggero
Gilardo; e con qual merto?
Màncati la ragion forse o l'impero?

Parlo teco, Signor, che mi comprendi,
e dell'accuse altrui poco mi cale.
Io ben confesso che del mondo hai cura
e ch'a nulla Sua parte vogli male;
quantunque, a ben del tutto che più intendi,
senza annullarle, le muti a misura:
in che consiste proprio la natura;
e tal mutanza male e morte noi
di qualità o di essenza sogliam dire,
ch'è del tutto alma vita e bel gioire,
bench'alle parti tanto par ch'annoi.
Così del corpo mio più morti e vite
veggo andare e venire,
di parti a ben del tutto in vita unite.

Il mondo, dunque, non ha male; ed io
di mali innumerabili sto oppresso
per letizia del tutto e d'altre parti.
Ma, se alle particelle hai pur concesso
d'invocar chi l'aiuta «proprio Dio»,
ché a tutti gli enti il tuo valor comparti
e le mutanze lor con segrete arti
addolcisci, amoroso temperando
Necessitate, Fato ed Armonia,
Possanza, Senno, Amor per ogni via;
m'è avviso, ch'a pregarti ritornando,
truovi rimedio alcun, che rallentarmi
possa la pena ria,
o 'l dolce crudo amor di vita trarmi.

Cosa il mondo non ha che non si muti,
né che del suo mutarsi non si doglia,
né che del suo dolersi Dio non preghi.
Fra' quali molti son cui avvenir soglia,
che, come tu ab aeterno vuoi, l'aiuti;
e molti ancora, a cui l'aiuto neghi.
Come dunque io saprò per cui ti pieghi,
s'io presente non fui al consiglio antico?
Argomento verace alfin m'addita
che quella orazion sia esaudita,
che con ragione e puramente io dico.
Così spesso, non sempre, nel tuo volto
sentenza è diffinita,
che 'l campo frutti ben, s'egli è ben c¢lto.

Del mio contrito e ben arato suolo
la coltura mi reca gran speranza,
ma più lo sol del Senno che 'l feconda,
che molte stelle forse sopravanza,
esser predestinato sopra il polo,
che la preghiera mia non si confonda,
e ch'abbia il fine, a cui di mezzi abbonda
pur da te infusi e previsti ab aeterno.
Con condizion pregò Cristo, sapendo
che schivar non potea il calice orrendo.
E l'angel suo rispose: al gran governo
convenir ch'egli muoia. Io senza prego,
risposta ricevendo
dal mio diversa, che sovente allego.

Canzon, di' al mio Signor: - Chi per te giace
tormentato in catena intra una fossa,
dimanda come possa
volar senza ale. O manda, o tu insegna
come la ruota fatale è ben mossa,
e se si truova in Ciel lingua mendace. -
Ma parrai troppo audace,
senza l'altra, ch'or teco uscir disegna.